venerdì 6 febbraio 2015

Vivere di sponda

di Federico Fiume







Io il fiume lo vedo dall’alto, da casa mia  La casa è sopra una collina, il fiume lì sotto,  alle porte della città. Ancora non è entrato, ancora non è il Tevere dei romani. Sta nel tempo della  metamorfosi tra fiume di campagna e vena acquea di Roma. Lo vedo da lontano ma distinguo il suo  livello, il suo crescere con le piogge inghiottendo rive e alberi, di cui talvolta lascia intravedere solo la chioma.

Come tutti i fiumi Tevere scorre e ogni tanto si concede qualche ‘scorrieria’, “s’allarga
un po’”, come si dice da queste parti, perché è uno grosso e se lo può permettere. Sulla destra della mia visuale, aguzzando lo sguardo, da un po’ di tempo distinguo qualche baracca di cartone e teli di  plastica, un filo di fumo nelle giornate più fredde. Sono i più che mai provvisori abitanti delle rive, gente abituata a vivere di sponda. Stanno vicino a lui, al fiume, perché non li caccia così di sovente  come i carabinieri o la polizia. Le baracche infatti si vedono a intermittenza, a seconda degli sgomberi, svolti dalle ‘forse’ dell’ordine con periodicità saltellante. La loro vita la immagino soltanto, talvolta l’annuso, quando il vento spira da est e basta quello a rimettere nella giusta  prospettiva i miei momenti di lamento. Le cose non girano mai per il verso giusto e se ne avrebbe  da ridire, ma quelli per cui girano proprio al contrario ti fanno sentire fortunato e magari anche un  po’ stronzo a pretender altro dal destino. Loro ignorano il mio sguardo quanto il fiume, che a maggior ragione, ignora anche me. Ma io so che sta lì, che non si sposterà, che la sua acqua scorre sempre e quest’idea mi conforta, mi fa compagnia.

 Mi piace avere il fiume a portata di sguardo, mi  piace la sua superiorità alle cose umane, il suo guardare la nostra storia con la pacata e saggia  indifferenza di chi la sa lunga, molto lunga e ben conosce l’impermanenza delle cose. Mi piace  l’idea che stia sempre lì ma che sia sempre in movimento, fermo come un Buddha sotto l’albero e  contemporaneamente padrone di un movimento impossibile da fermare. Questa sua impermanente  stabilità, o stabile impermanenza, mi affascina. Del resto non è un caso che i fiumi abbiano sempre  ispirato gli umani, loro lontani parenti nel comune destino dello scorrimento. Per noi c’è un punto  d’inizio e una fine e anche per il fiume, dalla sorgente al mare. Un destino comune, non fosse che  per il fiume il percorso si rinnova sempre. Immagino sia perché lui la sa molto, molto più lunga di noi.

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